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Intervista a Matteo Cignetti, il miglior giovane cuoco al mondo

A soli 20 anni ha vinto l'Olimpiade Young Chef 2022, tanto talento e le idee chiare sul suo futuro e su quello della cucina. "Ho rifiutato le proposte dei media per concentrarmi sulla mia formazione, sul mio domani"

Paolo Marcucci

STRAMBINO (Ivrea). Dopo poco più di un anno dalla vittoria come miglior cuoco all’Olimpiade Young Chef 2022, siamo andati a parlare con giovane Matteo Cignetti, classe 2003, per farci raccontare la storia e sentire se questa esperienza abbia toccato o condizionato la sua vita e la sua attività.

Il concorso prevedeva 42 partecipanti da tutto il mondo, e per gli effetti ancora attivi del Covid si era tenuto on-line sotto le telecamere e prevedeva il racconto in diretta ai giudici di tutti i passaggi della preparazione dei piatti. Ognuno dei giovani cuochi era seguito da quattro telecamere e da due giudici sul posto che assaggiavano e esprimevano il loro giudizio.

L’Olimpiade è una vera grande gara planetaria ed è un bellissimo osservatorio sul mondo e sui suoi cambiamenti sociali, macroeconomici e culturali. Basti pensare che, dal 2015, in nove edizioni, ci sono state ben 5 vittorie dei paesi del Sudest asiatico (3 della Malesia), due dell’Europa (Italia e Francia), una del Canada e, l’ultima del 2023, dell’Azerbaigian.

Matteo, piemontese, di Strambino, vicino a Ivrea, sta continuando a studiare e la sua scelta sulla scuola di cucina è andata verso una regione lontana, l’Abruzzo, e fuori dai grandi circhi mediatici tradizionali. Attualmente è studente del 18° corso dell’Accademia Niko Romito, e colloca Cignetti nella sfera tutta positiva di tanti giovani italiani che si muovono con facilità nel contesto internazionale e globalizzato e l’eccellenza territoriale italiana.

Il premio ha cambiato la tua traiettoria professionale, i tuoi studi, la tua attività?

Diciamo che ha contribuito. Chiaramente dopo la vittoria che è stata, devo essere onesto, del tutto inaspettata, perché né io né il mio docente fino all'ultimo credevamo di passare le prime selezioni. Quindi già il passaggio dalla selezione alla finale è stato un momento che non mi aspettavo perché avevo comunque commesso degli errori di cui ero consapevole durante la prima fase di concorso.

La preparazione dei piatti come avveniva?

La preparazione dei piatti è stata molto lunga e difficile perché dovevamo elaborare al contempo più portate. E comunque devi cercare di incastrare al meglio tutto quanto per fare un lavoro che fosse tutto pulito, buono, bello da presentare. Comunque tutta una serie di piccole attenzioni che fanno la differenza. E diciamo che la vittoria poi è stata da un lato inaspettata, perché appunto c'erano tanti ragazzi in gara, provenienti da scuole da un po’ tutto il mondo e quindi quando hanno annunciato il vincitore siamo rimasti lì un attimo a bocca aperta perché ci aspettavamo che avrebbe vinto o la Norvegia o la Svizzera.

E quando ora fai lezione, ti porti dietro questa esperienza che hai fatto?

Assolutamente, da un lato me la porto dietro e dall'altro ho cercato di eliminarla per due semplici motivi. Uno perché appunto tutto lo scalpore mediatico che ha avuto questa cosa è stato bello, intenso, ma è stata una fonte comunque di stress, anche perché comunque continuavo ad avere scuola. E poi la promozione di quanto era successo: partita con qualche giornale locale che poi è esploso tramite il Corriere della Sera, e quindi con un intervista a livello nazionale il circolo mediatico con radio e tv si è attivato.

Con il rischio di avere distrazioni?

Quando ci sono i titoli nazionali diventa un'esperienza se vuoi piuttosto importante, ma rischi di fermarti lì. Il grande rischio con queste cose e che ti arriva tutta una serie di proposte, una serie di offerte che sono anche allettanti, però devi sempre tenere focalizzato veramente che cosa vuoi fare e cosa vuoi diventare. Personalmente non era ciò che mi interessava, a me interessava andare avanti sul mio percorso, su un percorso di cucina effettivo, con un lavoro, una cucina. Quindi ho cercato di lasciare da parte tutto quello che riguarda i media, tutto quello che riguarda lo scalpore, per concentrarmi di più sul formarmi e andare avanti nella mia formazione, che credo sia stata al momento la scelta migliore che abbia fatto.

Quello che ho notato è la modernità dell'attenzione alla sensibilità verso lo spreco e alla sostenibilità verso le materie prime usate. È così?

Da questo punto di vista da qualche anno, veramente la questione sostenibilità è diventata uno dei fattori principali della nostra quotidianità. Io sono entrato in quest'ottica un po’ prima che esplodesse tutto quanto il discorso e ho iniziato a cercare di capire un po’ quali fossero le relazioni tra noi e quello che stavamo facendo, tra quello che stava succedendo nell'effettivo, quanto era reale, e quanto era in realtà soltanto una copertura di facciata.

E da quel momento?

E da quel momento ho iniziato appunto a entrare di più in un'ottica di attenzione, quindi ho iniziato a cercare di ridurre molto l'utilizzo, ad esempio, di importazioni, di imballaggi. Banalmente, ad esempio, nel paese in cui vivo abbiamo la possibilità di conoscere direttamente il produttore quindi cerco di ritornare un pochettino di più a quello che facevano anche i miei nonni e a quello che abbiamo poi sempre più fatto in casa, avendo la fortuna di avere un giardino e l'orto.

Un approccio più naturale?

Cercare di ritornare un po’ a un ritmo naturale piuttosto che a un ritmo imposto da una società che vuole tutto e alla fine rischia il niente, perché stiamo arrivando ad un punto di non ritorno, se non ci siamo già arrivati. Siamo in un momento in cui bisogna prendere delle decisioni che siano piuttosto forti, importanti, che ci permettano di capire che stiamo distruggendo tutto quello che resta.

Mi pare di capire che questa linea di pensiero, volta anche a riscoprire un passato nemmeno troppo lontano tra l'altro, si manifesti anche nella scelta di cucinare non tanta carne e comunque un certo tipo di verdura.

Allora il discorso carne è un discorso estremamente delicato, perché assolutamente l'uomo è onnivoro e deve continuare ad esserlo, non lo metto assolutamente in dubbio. Ma quello che deve cambiare l'approccio dell'uomo con la carne. Io personalmente ho ridotto molto negli anni quello che è il consumo di carne e di pesce, favorendo un consumo maggioritario di vegetali, dandoci così la possibilità di entrare in nuove logiche e scoprire cose nuove. Dall'altro lato, chiaramente, il consumo di carne non è che debba cessare di esistere.

Quindi il mondo vegetale, elemento essenziale della cucina?

Ho avuto la fortuna di lavorare, negli anni, con un paio di chef che avevano un'attenzione rispetto a quello che erano il mondo vegetale: il mondo delle erbe selvatiche, della raccolta che era una ricerca, però profonda e man mano negli anni vedendo come si evolveva la situazione, ci siamo chiesti dove stiamo andando. Buona parte delle erbe che raccolgo ad esempio in Valchiusella, che è una zona vicino a dove vivo io e dove la mia prima chef, Mariangela Susigan, andava a coglierle, sta perdendo in biodiversità. Poi c'è una serie di azioni che l'uomo sta prendendo e che non sono sostenibili.

Sotto i parametri ESG (Environment, Social, Governance)?

Sotto i tre famosi pilastri della sostenibilità che adesso conosciamo tutti quanti. Noi stiamo spostando sempre di più la nostra frontiera, con la perdita di biodiversità e la riduzione del numero di varie piante, pesci o animali liberi. L'uomo sta cercando sempre di più di andare oltre quello che era prima la naturale zona di crescita e di coltivazione.

Ti ho sentito dire, e questo mi ha molto colpito, che il cuoco deve pensare e deve far pensare.

Solitamente si può dire che il cuoco lo può fare chiunque. Tutti quanti nasciamo con la necessità di nutrirci in primis, bene o male se vuoi, ma chiunque di noi cucina per se stesso. Fosse solo per una questione di sussistenza, di sopravvivenza. Quindi nel momento stesso in cui tu vai ad aprire la tua realtà, vai a creare un posto che è lì per servire gli altri e mettersi a disposizione di altre persone, perché altre persone abbiano la possibilità di godere del piacere, del mangiare, della bellezza. Al tempo stesso però, devo essere anche stimolato a ragionare su quello che sto mangiando, su quello che sto vedendo, su quello che sto provando.

Come la realtà che ci circonda, da questo punto di vista?

C'è stato uno chef che ci ha fatto lezione in questi giorni, si chiama Pascucci, e che ha lavorato su un piatto che vuole essere un punto di riflessione, perché si chiama un mare di plastica e l'ha pensato mentre era vicino ad una spiaggia, una piccola insenatura in cui si trova sparso tutto, tra cui una serie di rifiuti e di immondizia portati dalle correnti.

Consapevolezza della cucina?

Non ne siamo consapevoli. Lo prendiamo come se tutto quanto stesse andando bene, quando nella realtà non lo sappiamo, non sappiamo niente di quello che sta avvenendo. Ci vorrebbe forse un pochettino più di voglia di conoscere e di sapere. E noi cuochi in primis ci dobbiamo mettere dalla parte della tutela del nostro stesso lavoro, prendere visione e aiutare a rendere tutti consapevoli di tutto quello che sta succedendo nel mondo. Anche se sappiamo dove stiamo andando a finire, ma non ci vogliamo arrivare, non è vero?

Nel concorso c'erano tanti giovani cuochi da tutto il mondo. Ma la globalizzazione ha portato e porterà anche ibridazione nei piatti, e in che misura, se si?

Bellissima domanda: di sicuro porterà un'ibridazione. Ma come è giusto che sia, sta già cambiando tutto quanto il nostro modo di vedere le cose. Ma se vogliamo andare più nel profondo non è una cosa del tutto nuova. Non sta succedendo solo adesso, adesso siamo iperconnessi, posso sapere cosa succede dall'altra parte del mondo con un click sul mio telefono. Però, bene o male, questa contaminazione c'è sempre stata.

Hai in mente qualche esempio?

Noi siamo famosi per gli spaghetti al pomodoro, un piatto fatto con grano che non era, che è stato, se vuoi, contaminato. È stato ibridato con una parte di un grano nativo nostro, ma in buona parte con tanti altri grani che l'hanno reso più resistente, più produttivo. Unito ad una tecnica orientale con un frutto dell’America cioè. Il nostro stesso essere è una contaminazione, è un'unione di più culture. L'unica cosa è che questo è stato assimilato, quindi questa contaminazione e questa unione è stata assimilata nei secoli.

Il tempo allora è elemento essenziale del cibo?

Perché non è successo l'altro giorno? Perché non è successo da poco tempo. È una cosa che è entrata a far parte della nostra cultura e che abbiamo assimilato. Quindi diciamo che tutto quello che adesso potrà essere un nuovo intreccio di cucine, mano a mano, entrerà sempre più a far parte di una filiera culturale e ridiventerà una normalità. E questo da un lato è giustissimo perché ci permette di andare avanti, e per l'altro dobbiamo sempre cercare di mantenere quelle che sono le nostre caratteristiche nei nostri valori, come cultura e le nostre specialità. I fattori che ci identificano e ci fanno sentire parte di un qualcosa.

 

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