Questo pane antico, semplice e conviviale, racconta la storia di famiglie di contadini, del tempo lento e del piacere della cucina condivisa. In questo articolo andremo a esplorare le origini, la preparazione artigianale, le particolarità della cottura e il suo rinnovato successo nel panorama gastronomico emiliano, tra innovazione e memoria.
Origini popolari e significato della tigella modenese
Le tigelle modenesi nascono tra le comunità dell’Appennino, dove ben poco era disponibile sulle tavole delle famiglie contadine. Si tratta di un pane semplice a base di farina, acqua, lievito e strutto, usato per dare sostentamento durante le giornate di lavoro nei campi o nei boschi.
Il nome “tigella” non indica il pane, ma il disco refrattario – in terracotta o pietra – usato come coperchio durante la cottura. Questo attrezzo, stampato con un simbolo chiamato “fiore della vita”, ha contaminato il nome del prodotto stesso, che è entrato nel linguaggio comune come “le tigelle”.
Nel tempo, la crescentina, o tigella, ha assunto un valore simbolico oltre che gastronomico: rappresentava la cucina povera, fatta di pratiche sostenibili e convivialità. Oggi è un cibo che unisce passato e presente con grande eleganza.
L’impasto e la preparazione tradizionale
L’impasto tipico della tigella modenese si basa su un connubio di farina 0 e 00, acqua, latte, lievito e strutto, a volte con l’aggiunta di bicarbonato o zucchero. La ricetta prevede poche varianti, perché la semplicità era la regola delle cucine rurali.
Una volta preparata la pasta lievitata, si stendono dischi del diametro di circa 10 cm e dello spessore di 1,5–2 cm. I dischi vengono cotti tra i ferri delle tigelliere, sulle braci o su fornelli moderni, in tempi rapidi, fino a ottenere una crosta dorata e un interno morbido.
La tigella si taglia a metà e si farcisce all’istante con ingredienti tipici: dalla “cunza” (lardo, aglio, rosmarino) a salumi, formaggi, verdure grigliate o perfino creme dolci. Un pane-snack che unisce sapori e convivialità.
L’attrezzo che dà il nome
Lo strumento tradizionale – la tigella in terracotta – era un coperchio che si impilava insieme agli impasti, alternando pasta, foglie di castagno e dischi refrattari. Il risultato ornate sulla pasta un marchio simbolico: una stella a sei punte, o fiore della vita, simbolo di prosperità e fertilità.
Oggi, la tigelliera in ferro o alluminio ha sostituito le versioni in terracotta, ma ne ha preservato la funzione e il valore identitario. Il nome “tigella” resta legato all’attrezzo e alla sua storia.
La rinascita nella gastronomia moderna
Dopo decenni di marginalità, la tigella modenese ha conosciuto una rinascita: oggi è proposta in trattorie, street food e ristoranti tradizionali con farciture gourmet. La sua versatilità la rende perfetta in versioni sia salate che dolci, accompagnata da salumi locali come prosciutto, mortadella o formaggi freschi.
Come accaduto per altri tipi di pane regionali diventati protagonisti di rivisitazioni contemporanee, anche le tigelle hanno conquistato un posto nel panorama culinario dell’Emilia-Romagna, entrando nei menù di attività che puntano a unire tradizione, gusto e convivialità. Le nuove generazioni hanno riscoperto questo prodotto, trasformandolo dal cibo povero di una volta a una specialità moderna e ricercata.
Un pane che parla della terra
La tigella modenese non è solo un pane: è la memoria di una terra dura, di famiglie resilienti e di un modo di vivere scandito dal mercato del fare e dal piacere di condividere. Ogni morso racconta una storia di lavoro sui focolari, di mani abituate all’odore del grano, di sagre nei borghi e di legami comunitari che durano nel tempo.
È un patrimonio fatto di forno e ferro, di impasto e solidarietà, che oggi torna a farci sentire cosa significa mangiare con senso e radici.
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