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Dalle Ande alla pizza Margherita a Napoli: la storia del pomodoro

Originario del Sud America è arrivato in Europa solo nel 1500, fino ad affermarsi sempre di più anche sulle tavole italiane. Garibaldi contribuì a diffonderlo a livello nazionale e nel 1889 fu creata la prima pizza Margherita

Marco Pagli

Chiudete gli occhi e pensate ad un cibo che vi rende felici, a quello che vi fa venire l’acquolina in bocca, che uscireste in questo momento per andarlo a comprare. Pizza, spaghetti con la pomarola, lasagne, caprese. Un bel sugo alla puttanesca o uno spezzatino in umico per i più spinti. Ecco, adesso pensate che c’è stato un tempo - nemmeno troppo lontano - in cui tutto questo era inimmaginabile.

Perché? Beh, perché di tutti questi cibi mancava l’ingrediente fondamentale: il pomodoro. Che già esisteva, ma era coltivato sotto le pendici delle Ande, prerogativa esclusiva delle popolazioni indigene del Centro e del Sud America. Sembra impossibile da pensare per un popolo, come quello italiano, che del pomodoro ha fatto un pilastro della propria cucina. Ma è stato così almeno fino alla metà del 1500.

Le origini del pomodoro

Il pomodoro selvatico è originario del Sud America occidentale. Tuttavia, furono i Maya i primi a metterlo a coltivazione quando la pianta venne portata nelle regioni dell’America Centrale. Gli stessi Maya riuscirono a sviluppare il frutto del pomodoro nella forma più grande che ancora oggi conosciamo. Una coltivazione che venne adottata anche dagli Aztechi nelle regioni meridionali del Messico.

Il pomodoro, insomma, è il frutto delle sperimentazioni delle civiltà precolombiane del Centro America, a pari di altre come mais, peperoncino, fagiolo, arachide, patata e frutti tropicali. Un connubio tra climi favorevoli e capacità botaniche e agricole molto avanzate.

Maya e Aztechi furono anche i primi a utilizzare il pomodoro come alimento. Dalle attestazioni giunte fino ai nostri giorni sembra, infatti, che queste popolazioni già producessero salse con i pomodori, a cui attribuivano grandi virtù e in particolare un potere afrodisiaco. Le prime varietà americane di pomodoro con ogni probabilità arrivavano a maturazione con una colorazione tendente al giallo più che al rosso, avevano bacche più piccole e irregolari.

Inoltre, a fianco del frutto che poi ha conosciuto una enorme fortuna in tutto il mondo nei secoli a venire, Maya e Aztechi coltivavano una diversa varietà di pomodoro: il tomatillo, che veniva indicato con la stessa parola tomatl, ma un prefisso diverso. Frutto piccolo e rotondo di colore verde pallido tendente al giallo, rivestito di un involucro verde che si secca e si spacca al maturare del frutto. Ancora oggi viene coltivato (cresce in mezzo alle piante di mais) e viene utilizzato per preparare le salse con il chili per realizzare la salsa verde messicana.

Il pomodoro in Europa

Le prime piante di pomodoro (Solanum lycopersicum) giunsero in Europa sulle navi che riportavano in patria il condottiero spagnolo Hernan Cortes. Era il 1540 e ancora il pomodoro portava il nome che gli avevano dato Maya e Aztechi: tomatl. Da questo termine, non a caso, si passò allo spagnolo e al francese tomate e all’inglese tomato. Mentre la versione italiana pomodoro si deve al botanico senese Pietro Andrea Mattioli, che lo definì per la prima volta in questo modo (nella fattispecie “mala aurea”, cioè mela d’oro) per la colorazione dorata che il frutto assume in fase di maturazione.

C’è da dire che l’utilizzo del pomodoro in cucina non fu immediato a partire dal suo sbarco in Europa. Con ogni probabilità, infatti, le prime piante che vennero introdotte contenevano solanina in quantità troppo elevate da risultare indigeste e per questo si diffusero inizialmente come piante ornamentali o medicinali. Solo successive selezioni parietali, grazie agli studi in botanica a cui venne sottoposto, portarono il pomodoro alla sua completa commestibilità.

Per quanto riguarda l’Italia, c’è una data che segna l’inizio di una storia d’amore mai terminata. Era il 31 ottobre 1548 quando Cosimo de’ Medici ricevette una cesta di pomodori da una delle sue tenute di campagna. Erano nati dai semi regalati alla moglie Eleonora di Toledo dal padre, che era viceré del Regno di Napoli. Il primo contatto tra il pomodoro e l’Europa era avvenuto in Spagna e da qui, proprio in funzione della dominazione iberica del Sud Italia, era stato trapiantato in Sicilia - da cui provengono le più antiche ricette italiane a base di pomodoro - e poi in tutto il meridione.

Come accennato, all’inizio la pianta di pomodoro era utilizzata con funzione esclusivamente ornamentale. Le prime attestazioni di un uso alimentare del pomodoro si hanno solo a partire dal XVII secolo. Principalmente cotto e consumato come salsa, la cosiddetta “salsa di pomodoro alla spagnola” di derivazione napoletana. Anche se rimane un prodotto di nicchia per diversi decenni. È solo nel ‘700 che piano piano il pomodoro conquista le tavole, in particolare modo quelle spagnole, francesi e italiane. Dell’italiano Lazzaro Spallanzani, non a caso, sono i primi studi sulle tecniche di conservazione. Fu proprio il biologo emiliano, infatti, che ne sperimentò la cottura e gli effetti prodotti, arrivando a concludere che fatto bollire e posto in contenitori chiusi il suo estratto non si alterava.

Il Sud Italia, comunque, rimane il principale laboratorio per l’utilizzo gastronomico del pomodoro. Sempre da Napoli, infatti, arrivano le prime ricette scritte della salsa di pomodoro. È il 1773 e Vincenzo Corrado nella sua opera “Il cuoco galante” ne elenca ben tredici, segno evidente di una tradizione già strutturata nel Mezzogiorno. Proprio a quel periodo, ancora a Napoli, risalgono anche le prime note sulla pizza marinara che in principio era preparata solo con pomodoro, aglio e olio.

Mentre all’inizio del secolo successivo si hanno le prime attestazioni dell’uso del pomodoro non solo come salsa, ma per la preparazione di vere e proprie pietanze. Prima tra tutte il ragù alla napoletana, quel piatto che più tardi Eduardo De Filippo avrebbe cantato in una celebre poesia intitolata proprio “‘O rraù”.

La consumazione alimentare del pomodoro, certo, non era sconosciuta in questi anni nel Nord Italia. Tuttavia, una diffusione più ampia su tutto il territorio nazionale arriverà grazie alla spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi. Nel loro viaggio i volontari garibaldini conobbero da vicino il pomodoro e i suoi derivati e risalendo la Penisola contribuirono a incentivare l’interesse per il pomodoro. Era già evidente come quest’ultimo sarebbe diventato uno dei simboli di un Paese che stava per nascere attraverso la sua unificazione.

Sicuramente dopo la fine delle guerre di Indipendenza arriverà il matrimonio ufficiale tra la pizza e il pomodoro. Stando alla narrazione universalmente diffusa, infatti, nel giugno del 1889 il cuoco Raffaele Esposito preparò la prima pizza margherita, condita con pomodoro, mozzarella e basilico per rappresentare i colori della bandiera italiana, in onore della Regina d’Italia Margherita di Savoia.

A Napoli, tuttavia, la tradizione della pizza condita con pomodoro era già affermata. La pizza marinara, come accennato, era conosciuta già alla fine del XVIII secolo. Ma la diffusione della pizza sarà progressivamente dirompente in città. I viaggiatori del Grand Tour, il lungo viaggio che a partire dal ‘700 gli aristocratici europei facevano nelle principali città continentali, andavano a cercarla nei quartieri più poveri della città partenopea per assaggiarla. E dagli anni Trenta dell’Ottocento nasceranno i primi veri locali dove consumarla, le pizzerie.

Le principali varietà di pomodoro

Nel mondo si stima esistano ad oggi circa 15mila cultivar di pomodoro e 300 varietà prodotte e vendute. Tra le più pregiate ci sono quelle di origine italiana, che si sono sviluppate a partire dalla fine del Settecento per arrivare ai giorni nostri più numerose e gustose che mai.

Ecco un’elenco delle principali:

-pomodoro Pachino: varietà siciliana che ha conosciuto una diffusione enorme a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, quando un’azienda israeliana impiantò nell’area di Pachino due varietà di pomodorini a grappolo

-pomodoro datterino: dalla forma piccola e ovale, risultante da un incrocio con una varietà di ordine asiatica

-pomodoro di Belmonte: originario della provincia di Cosenza, impiantato all’inizio del Novecento da un emigrante calabrese di ritorno dall’America. Ha dimensioni notevoli e può andare dai 400-600 grammi dei tipi più piccoli ad 1-1,5 kg dei tipi più grandi

-pomodoro San Marzano: denominazione di origine protetta dell’agro sarnese-nocerino, il suo seme giunse in Campania nel 1770 come dono del Vicerè del Perù al re di Napoli e venne impiantato nell’area dell’attuale comune di San Marzano sul Sarno. Ha forma allungata ed è particolarmente adatto alla produzione di pelati e conserve

-pomodoro Regina: è un prodotto tipico della Puglia e viene coltivato principalmente lungo la costa nell’area del comune di Fasano, dove venne impiantato alla fine del ‘700. La sua coltivazione nei pressi del mare gli conferisce un sapore dolce-acidulo. È adatto alla conservazione e al consumo anche diversi mesi dopo la raccolta

-pomodoro Cuore di Bue: coltivato in varie zone d’Italia, dalla Liguria (da cui la varietà di Albenga) all’Abruzzo (“Pera d’Abruzzo”), è una varietà da insalata. Il frutto è grosso e irregolare, polpa carnosa e consistenza poco fibrosa, con pochi semi

-pomodoro Costoluto Fiorentino: prodotto in tutta la Toscana e consumato fresco o utilizzato per la preparazione di sughi e salse. Colore rosso intenso e caratterizzato da grinze marcate. La polpa è omogenea e dal sapore dolce e consistente

-pomodoro Blu: anche detto pomodoro nero o viola, è una cultivar prodotta mediante tecniche di selezione e miglioramento genetico. Ha una grande quantità antocianica e di pigmenti idrosolubili responsabili della sua colorazione scura. Diverse ricerche ne sottolineano i benefici per la salute, legata alla presenza di antiossidanti

-pomodoro Grinzoso Sanminiatese: prodotto dalla fine dell’800 nel territorio di San Miniato, come indica il nome ha una forma molto grinzosa (fino a 18 costole). Colore rosso vivo a maturazione, ha una polpa molto soda e compatta che lo rende ideale per la preparazione di sughi e concentrati

-pomodorino di Manduria: coltivato in passato in alcuni comuni della provincia di Taranto e in pochi altri della provincia di Brindisi, attualmente il disciplinare di presidio Slow Food ne restringe la produzione solo al territorio del comune di Manduria. I pomodori hanno colore rosso intenso e forma ovoidale, di diametro compreso tra 20 e 30 cm e lunghezza tra 25 e 35 cm. Viene consumato prevalentemente fresco, durante la stagione estiva

-pomodorino del Piennolo del Vesuvio: varietà di pomodoro coltivata sulle pendici vulcaniche del Vesuvio, è una denominazione di origine protetta. Le prime testimonianze risalgono alla fine dell’Ottocento. La tradizionale buccia spessa ne permette la conservazione a lungo e si trovano esposti a grappolo sui balconi. Forma allungata e peso non superiore a 30 grammi per ogni bacca

Un prodotto mondiale

Da prodotto di consumo legato ai territori di coltivazione, il pomodoro è diventato un ingrediente imprescindibile per le tavole di tutto il mondo. Attualmente la produzione mondiale di pomodori si aggira intorno ai 180 milioni di tonnellate annui. La Cina è il primo paese per coltivazione del frutto rosso con oltre 60 milioni di tonnellate, seguito dall’India con 19 milioni di tonnellate. A seguire Stati Uniti e Turchia con circa 12 milioni di tonnellate prodotte annualmente. Mentre l’Italia, assieme a Egitto e Iran, ha una produzione intorno ai 6 milioni di tonnellate. Circa 4 milioni di tonnellate ciascuno, infine, vengono assicurate da Spagna, Messico e Brasile.

Sia la produzione che il consumo di pomodori e di suoi derivati è in continua crescita, specie nei paesi asiatici dove - a dispetto dei volumi di coltivazione - l’utilizzo in cucina è ancora ridotto rispetto al continente europeo e americano. Basti pensare che in India e in Cina il consumo pro capite si aggira attorno ai 200 grammi annui, a fronte di una media mondiale di quasi 6 chilogrammi a testa.

Che siano sotto forma di salsa, di polpa o di pelati, la produzione di pomodori è principalmente realizzata attraverso sistemi industriali e tecniche all’avanguardia. A questo proposito c’è da dire che proprio l’Italia è stato il primo paese a introdurre la trasformazione industriale. La culla dell’industria del pomodoro è l’Emilia e in particolare le campagne di Parma, dove nella seconda metà dell’Ottocento i contadini iniziarono a produrre pani di polpa essiccata. Una tecnica di produzione che più tardi un studioso, il professor Rognoni in forza all’Università di Parma, avrebbe razionalizzato realizzando dei veri e propri modelli. In questo territorio dall’inizio del secolo successivo si sviluppano numerosi laboratori che lavorano il pomodoro utilizzando apparecchiature all’avanguardia e sono in grado di condensare il concentrato.

Tecniche che nei decenni successivi sono state prese a modello in tutto il mondo, permettendo di fare del pomodoro uno dei frutti più conosciuti, amati e soprattutto accessibili in assoluto.

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