Le varietà principali di pani italiani

Da quello di Altamura al Carasau, in Italia il pane fa parte della tradizione e si differenzia non solo da regione a regione ma spesso anche da città a città


  • 01.02.2025

Il pane di Altamura

Il pane di Altamura è celebrato fin dall'antichità come il "pane migliore del mondo" secondo il poeta latino Orazio. Radicato nell'alimentazione popolare, questo pane rappresenta un patrimonio storico e gastronomico prezioso.

Le sue origini risalgono a tempi immemorabili, quando le donne impastavano nelle loro dimore per poi trasportare l'impasto ai forni pubblici per la cottura. Ancora oggi, alcuni di questi antichi forni sono in funzione, conservando il segreto di un gusto unico e inconfondibile. Forni come quello di Santa Chiara e di Santa Caterina, eretti nel XVIII secolo, continuano a plasmare ogni pagnotta con sapienti arti tramandate attraverso generazioni.

La preparazione del pane di Altamura è un rituale complesso e affascinante, che coinvolge cinque fasi di lavorazione. Dall'impastamento alla formatura, dalla lievitazione alla modellatura, fino alla cottura nel forno a legna, ogni passaggio è eseguito con maestria e dedizione. Gli ingredienti sono semplici ma fondamentali: sfarinato di grano duro, lievito madre, sale e acqua, combinati con cura per ottenere l'armonia perfetta di gusto e consistenza.

La storia di questo pane è intessuta di leggende e tradizioni, e ogni pagnotta porta con sé secoli di cultura e passione artigianale. Non è solo un alimento, ma un simbolo di identità e orgoglio per la comunità di Altamura. E non c'è da stupirsi che, ancora oggi, sia ammirato e apprezzato da chiunque abbia il privilegio di assaggiarlo.

Ne abbiamo parlato in maniera più approfondita in questo articolo.

Il pane carasau

La storia del pane carasau è intimamente intrecciata con le aspre terre della Barbagia, la regione più selvaggia della provincia di Nuoro. Rientra a gamba tesa nello street food sardo, di cui abbiamo parlato qui). Qui, nel vecchio Forno Sunalle, da oltre 30 anni si produce questo simbolo della tradizione sarda. Il pane carasau, noto anche come "carta musica" per il suono che emette quando si spezza, è uno dei più antichi tipi di pane al mondo e racchiude in sé le leggende della Barbagia. È un pane povero, nato per soddisfare le esigenze logistiche dei pastori durante la transumanza: doveva durare a lungo e resistere alle intemperie. gni famiglia sarda lo preparava in grandi quantità, conservandolo nelle cassapanche per l'uso quotidiano.

La sua doppia cottura, che lo rende croccante e friabile, è una caratteristica distintiva. Il processo di preparazione rimane fedele alle antiche tradizioni: impasto di acqua, sale, lievito e semola di grano duro, cotto brevemente in forno a legna, diviso in due metà e infine tostato nuovamente fino a diventare croccante.

La ciabatta

Dopo aver conquistato la Francia, la ciabatta è uno dei più celebri tipi di pane italiani. Il dibattito si concentra sull'aggiunta di olio nell'impasto: i panificatori francesi propongono la ciabatta con un tocco di olio extravergine, mentre in Italia l'uso è presente talvolta, solitamente sulla superficie.

Ma qual è la vera ricetta originale della ciabatta? La sua fama deriva dalla sua praticità e croccantezza, perfetta per essere farcita. La ciabatta è caratterizzata da un alto contenuto di liquidi, almeno il 70% del peso della farina, che conferisce alla mollica una grande alveolatura e alla crosta un colore bruno e farinoso.

Ma dove è nata la ciabatta? Le sue origini risalgono alla città veneta di Adria, in provincia di Rovigo, dove Arnaldo Cavallari e il panificatore Francesco Favaron svilupparono il procedimento di produzione. Nel 1982, Cavallari ottenne il marchio commerciale "Ciabatta Italiana" per questo pane.

Il pane toscano

La storia del pane toscano, privo di sale, è avvolta da diverse teorie affascinanti. Secondo la più diffusa, risalente al XII secolo, i Pisani iniziarono a produrre pane senza sale come risposta alla tassazione e al caro prezzo imposti dai rivali fiorentini sul sale che sbarcava nel porto toscano. Alcuni suggeriscono, invece, che la mancanza di sale potrebbe essere stata una risposta alle pesanti tassazioni introdotte dai governanti fiorentini. Una terza teoria suggerisce che ì sia stata una scelta culinaria volta a bilanciare i sapori intensi della cucina locale, dominata da piatti come carni, zuppe, ribollita e salumi.

La mafalda siciliana

I panini di semola a forma di doppia S, noti come mafalde siciliane, sono un'icona culinaria in Sicilia. La loro storia è avvolta da qualche mistero, ma secondo alcuni testi di gastronomia siciliana, sembrano emergere nell'Ottocento a Palermo. Tuttavia, si ritiene che la loro origine sia stata ispirata da una ricetta araba, vista la presenza dei semi di sesamo, tipici della cucina araba.

Ciò che è certo è che le mafalde si diffondono rapidamente in tutta la Sicilia e nel Novecento un panettiere catanese le dedica alla principessa Mafalda di Savoia, dando loro il suo nome.

Quanto alla forma a doppia S, rimane ancora un mistero, ma esistono altre due varianti di questi panini chiamate "gli occhi di Santa Lucia" e "la corona". A Palermo, ad esempio, le mafalde sono spesso utilizzate per street food e servite insieme alle panelle, ne parliamo qui.

La puccia salentina

La puccia è un tipo di pane ampiamente diffuso in Puglia, soprattutto in Salento, considerato uno dei protagonisti dello street food della regione (abbiamo approfondito la questione qui). La sua caratteristica principale è quella di avere molta mollica. Secondo la tradizione, la puccia veniva preparata il 7 dicembre, la vigilia dellImmacolata per lasciare alle donne il tempo di adempiere a tutti i riti religiosi previsti per quella giornata.

Il nome deriva da "puccidatu", che era il nome del pane militare dei Romani, a sottolineare la possibilità di essere conservato per alcuni giorni ed è adatto anche a essere portato in viaggio.

Esistono diverse versioni della puccia, a seconda della zona in cui ci troviamo. In generale si tratta di un pane del diametro di 20-30 centimetri, lievitato e compatto. A Gallipoli, la puccia caddhipulina viene condita con capperi e acciughe sotto sale, negli anni sono stati aggiunti anche tonno, pomodoro e olio extravergine d’oliva. Nel resto del territorio salentino, per puccia si intende principalmente quella “uliata”, con olive nere non denocciolate. Nella zona di Taranto, invece, troviamo la “puccia alla vampa”, ossia “alla fiamma”, farcita con semi di pomodoro, olio, sale e ricotta forte e talvolta si accompagna alle rape stufate.


 


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