500 anni di Pasta di Gragnano

Abbiamo realizzato uno "special" su questa pietra miliare del cibo italiano, che è la prima e unica IGP a livello europeo per la pasta secca


  • 01.06.2023

Non è un caso se quando parliamo di pasta viene in mente Gragnano. Non lo è perché il centro campano è a tutti gli effetti la città della pasta. Qui affonda le radici uno degli alimenti più caratterizzanti per il nostro Paese e più amati nel mondo. Una sorta di bandiera dell’italianità che a Gragnano ha trovato terreno fertile per prosperare e crescere. Tanto che, grazie ad una tradizione lunga 500 anni e ad un’arte affinata nel tempo, la Pasta di Gragnano è la prima e unica IGP (Indicazione Geografica Protetta) a livello europeo per la pasta secca.

UN PO’ DI STORIA DELLA PASTA DI GRAGNANO

Gragnano è da sempre un centro di produzione della pasta. Le prime attestazioni risalgono addirittura al tempo dei romani. Al pari di altri luoghi in tutta la penisola, infatti, la realizzazione delle cosiddette laganae o makaronia era diffusa anche nel centro campano. Fettuccine preparate spianando un impasto di acqua e farina e cuocendole in forno con il loro condimento. Tuttavia è con l’età medievale che si ha un’evoluzione importante trainata da due fattori, uno interno e uno esterno.

Il primo è la costruzione, tra il 1266 e il 1272, di alcuni mulini nella valle sottostante al castello di Gragnano, lungo la mulattiera che congiungeva Castellammare di Stabia con Amalfi. Questi mulini, che avrebbero contraddistinto questo luogo tanto da essere ribattezzato “Valle dei Mulini”, sfruttavano le acque del torrente Vernotico che è alimentato dalle sorgenti della Forma. Le strutture sono rimaste in funzione fino alla metà del Novecento, quando cessarono la loro attività dopo secoli di grande fortuna.

Il secondo fattore, inestricabilmente collegato al primo, è l’invenzione nel medesimo periodo della pasta secca. Una intuizione che con ogni probabilità è da attribuire agli arabi, che hanno bisogno di un prodotto in grado di conservarsi più a lungo per essere trasportato durante gli spostamenti nel deserto.

Nel porto di Castellammare arrivava il grano, che veniva trasportato nei mulini di Gragnano per essere macinato in quantità sempre maggiori. Tanto da fare di questa valle il principale luogo di sostentamento alimentare per la città di Napoli e per tutto il territorio limitrofo. Per avere una dimensione del fenomeno si pensi che nel Settecento i quasi trenta mulini sul Vernotico - che erano di proprietà di famiglie importanti come i Quiroga e gli Scola e della Chiesa - arrivavano a macinare oltre un milione e centomila quintali di grano all’anno.

Già da un paio di secoli prima, tuttavia, Gragnano è già un polo produttivo di rilievo per la pasta. I primi pastifici a conduzione familiare iniziano la loro attività del Cinquecento, ritagliandosi un posto di sempre maggior rilievo nell’economia cittadina accanto alla tradizionale produzione di tessuti. I maccheronari, i venditori di pasta, diventano a poco a poco figure centrali grazie al basso costo della pasta e alla forte richiesta di cibo che arriva da tutta la provincia partenopea. Le potenzialità di questa terra, così ricca di acque che alimentano la vicina valle e baciata dalle brezze che soffiano dai Monti Lattari al Golfo di Sorrento, sono già evidenti. Ma è nel Settecento che si consumano altri due passaggi fondamentali. Tra il 1763 e il 1764 il Regno di Napoli viene colpito da una tremenda carestia, che provoca un incremento esponenziale della richiesta di pasta da Gragnano. In più nel 1783 una moria di bachi da seta mette in ginocchio il settore tessile gragnanese. Nell’arco di due decenni si spiana la strada all’esplosione della produzione pastaia di Gragnano.

Sul finire del secolo nascono le prime vere e proprie fabbriche di maccheroni, proprio mentre si comincia a ridisegnare architettonicamente la città. Tutto viene pensato in funzione della pasta: strade e palazzi vengono progettati e costruiti con diagonali tali da convogliare i venti e favorire l’asciugatura della pasta lungo le strade e sui balconi. Via Roma e piazza Trivione sono il fulcro della manifattura pastaia di Gragnano. Si formano i primi operai specializzati: gli “spannatori” (coloro che tagliano i maccheroni e li stendono sulle canne) da una parte e gli “aizacanne” (quelli che portano la pasta in mano senza farla incollare) dall’altra. Intanto le commesse continuano ad aumentare.

Addirittura il 12 luglio del 1845 il re Ferdinando II, durante un pranzo, concede ai pastai gragnanesi il privilegio di rifornire le cucine di corte di paste lunghe. Gragnano diventa a tutti gli effetti la “Città dei Maccheroni” con i tre quarti della popolazione che è impiegata in questo settore e una produzione giornaliera di oltre mille quintali. L’Unità d’Italia, poi, permette un ulteriore sviluppo del comparto con l’apertura alle grandi città del Nord. Fino al 12 maggio 1885, quando viene inaugurata la stazione ferroviaria di fronte nientemeno che al re Umberto I e alla regina Margherita di Savoia. Di lì a poco la pasta di Gragnano sbarcherà anche nei principali mercati europei e oltreoceano. È l’apice di una storia che vedrà di lì a poco l’avvento dell’energia elettrica e la sostituzione dei tradizionali torchi a mano con i moderni macchinari per la realizzazione della pasta. Ma anche il proliferare, nel Settentrione del Paese, delle grandi industrie pastaie che faranno concorrenza, specie a partire dal secondo Dopoguerra. Senza, però, mai riuscire a soppiantare la produzione di pasta di Gragnano.

IGP “PASTA DI GRAGNANO”

Nella seconda metà del Novecento il numero dei pastifici a Gragnano si riduce drasticamente. Già con la svolta autarchica fascista, che aveva ridotto l’approvvigionamento di grano dall’Europa e dagli Stati Uniti, si erano sentite le prime avvisaglie di una crisi. Poi dalla fine della guerra in poi la concorrenza si fa spietata. Senza considerare il terremoto dell’Irpinia che nel 1980 mise in ginocchio tutta la regione. È così che dai cento pastifici di fine Ottocento si passa ai circa venti attualmente attivi.

Si tratta di poli produttivi importanti, tutti impegnati a preservare la qualità e la tradizione pastaia gragnanese. Tanto che all’inizio del nuovo millennio si comincia a sentire l’esigenza di formalizzare questa preservazione, nell’ottica anche di difendere il prodotto dai continui tentativi di contraffazione che arrivano dall’estero.

Nel 2003 i primi quattro pastifici costituiscono il Consorzio di Gragnano Città della Pasta: ne fanno parte “La Fabbrica della Pasta”, “Le Antiche Tradizioni di Gragnano”, “Pastificio dei Campi” e “”Pastificio Di Martino”. Dieci anni più tardi il lavoro di promozione del prodotto porta al primo riconoscimento comunitario di qualità assegnato alla Pasta di Gragnano, che diventa ufficialmente Indicazione Geografica Protetta in Italia e in Europa.

Nel 2014 entrano nel consorzio anche “L’Oro di Gragnano” e la “Cooperativa Pastai Gragnanesi”, seguite da “Il Re della pasta”, “Il Mulino di Gragnano”, “Pasta d’Aragona”, il “Pastificio D’Aniello” e il “Pastificio Antonio Massa”. Quindi nel 2017 tocca a “Garofalo” e “Liguori”. Pochi anni dopo entrano anche “28 Pastai”, “Pastificio Cuomo” e “Pastificio Ducato d’Amalfi”. Il consorzio diventa definitivamente il primo in Italia per dimensioni economiche e nel 2019 viene riconosciuto come Consorzio di Tutela con apposita pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

LE FASI DI REALIZZAZIONE DELLA PASTA DI GRAGNANO

La Pasta di Gragnano per essere tale deve prodotta nel territorio del Comune di Gragnano e tutte le fasi del processo produttivo devono essere monitorate e documentate. Il disciplinare redatto dal Consorzio di tutela della pasta di Gragnano ne elenca cinque:

-impasto e gramolatura: la semola di grano duro ottenuta viene impastata con acqua, in una percentuale non superiore al 30%. La successiva fase della gramolatura, fa sì che l’impasto ben lavorato diventi omogeneo ed elastico

-estrusione o trafilatura: la trafilatura è una fase molto importante per ottenere una buona qualità del prodotto finale. Una volta ottenuto l’impasto, questo viene trafilato in stampi, ovvero in “trafile”, cioè utensili esclusivamente in bronzo, che permettono di conferire alla pasta una superficie rugosa determinandone la forma. L’impasto viene spinto contro la trafila che, grazie a fori sagomati, permette l’uscita della pasta con le forme tipiche della fantasia dei pastai gragnanesi

-essiccamento: l’essiccazione varia a seconda dei formati e comunque avviene ad una temperatura compresa tra 40 e 85°C per un periodo compreso tra le 4 e le 60 ore. È questo il momento più delicato di tutto il ciclo produttivo. La pasta viene ventilata più volte con aria calda. Ad ogni ciclo di ventilazione si ha la caratteristica sottofase di incarto, ovvero si ha la formazione di una sorta di crosta superficiale rappresentata dalla pasta esterna completamente essiccata. Per osmosi, poiché la pasta più interna e quindi non a diretto contatto con l’aria calda dell’essiccatoio, è più umida rispetto alla pasta più esterna, trasferisce umidità alla crosta superficiale ammorbidendola nuovamente. A mano a mano che l’umidità affiora viene eliminata con i successivi cicli di ventilazione con aria calda. La fase dell’essiccamento può essere ottenuta o attraverso le celle statiche, o nei tunnel per l’essiccamento nei quali circola aria calda

 

-raffreddamento e stabilizzazione: l’elemento finale dell’essiccazione è il raffreddatore che provvede a portare a temperatura ambiente la pasta ancora a temperatura d’essiccatoio e quindi a stabilizzare la propria temperatura prima di immetterla nell’ambiente esterno

-confezionamento: deve essere effettuato nelle aziende di produzione, ovvero sul luogo di produzione, entro le ventiquattro ore successive alla produzione, sia per evitare le perdite di umidità che comprometterebbero le qualità organolettiche speciali del prodotto, sia perché, la perdita di umidità e l’eccessiva manipolazione durante il trasferimento determinerebbero la rottura e il danneggiamento delle diverse forme ottenute

COME SI RICONOSCE LA PASTA DI GRAGNANO?

La pasta di Gragnano è ottenuta dall’impasto di semola di grano duro con acqua della falda acquifera locale. L’utilizzo dell’acqua proveniente dai Monti Lattari, che alimentano l’approvvigionamento idrico dell’area, è un requisito fondamentale.

L’aspetto esterno - sempre secondo il disciplinare di produzione - deve essere omogeneo, senza macchie e senza bolle d’aria, fessure o tagli. La sezione di frattura è vitrea, il colore giallo paglierino e rugosità presente. Alla cottura la consistenza è soda ed elastica, uniforme con una tenuta lunga e collosità assente. Le caratteristiche chimiche sono umidità non superiore al 12,5% sul prodotto finito, minimo 13% di proteine e ceneri massimo 0,86% sulla sostanza secca.

Per quanto riguarda i formati immessi al consumo, “essi sono diversi, tipici, frutto della fantasia dei pastai gragnanesi”. Ognuno dei venti pastifici attivi produce svariati formati di pasta che si suddividono tra corti e lunghi. Alcuni tipi di pasta sono gli stessi per tutti i pastifici, altri sono di produzione esclusiva di alcuni.

Per quanto riguarda la pasta corta, uno dei formati tipici di Gragnano sono i paccheri. Un tipo di pasta che prende il nome dal ceffone (“pacchero” appunto nel dialetto napoletano) che i pastai gragnanesi assestavano ai ragazzini che sgraffignavano gli scarti della produzione de pastifici.

Altro formato tipico è la calamarata, che ricorda gli anelli di calamari. O ancora lo scialatiello, una sorta di spaghetto corto e largo a sezione rettangolare. Tra i formati tradizionali troviamo anche i ziti, il cui nome si associa a quello di “zitella” dal momento che tradizionalmente venivano cucinati in occasione del matrimonio, quando cioè la donna perdeva questo status. Infine, una menzione particolare va al formato vesuvio, che richiama la forma del vulcano che troneggia sul Golfo di Napoli.

Per quanto riguarda la pasta lunga, invece, tra i formati tradizionali troviamo i fusilli di Gragnano, che hanno la stessa architettura elicoidale, ma una lunghezza maggiore rispetto a quelli diffusi in altre parti d’Italia. Accanto ad essi si possono annoverare gli spaghettoni, le candele lunghe e i ziti lunghi.

In ogni caso, la pasta di Gragnano deve riportare sulla confezione il logo europeo dell’IGP (cioè un cerchio con all’interno la scritta circolare “INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA”) e il logo dell’IGP “Pasta di Gragnano”. Solo in questo modo si è certi di non cadere in truffe alimentari, sempre più all’ordine del giorno specie per marchi così conosciuti e riconosciuti in tutto il mondo.

 

Foto: https://www.fabbricadellapastadigragnano.com/


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