L'azienda che salva l'arnica montana dall'estinzione

A Piancavallo nel Friuli ARMO1191 la coltiva biologicamente. Ritorno alla tradizione e sostenibilità ambientale spingono da sempre Antonio Conzato, Andrea e Francesca Muner verso questa sfida


  • 24.09.2022

PIANCAVALLO (Pordenone).  L’arnica montana è una pianta officinale che tutti i popoli alpini utilizzano da secoli, soprattutto per le proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie. Il nome deriva dal greco ptarmike (starnutire), perché nella la radice e nei fiori vi sono delle sostanze che irritano la mucosa nasale provocando appunto gli starnuti. Infatti in dialetto veneto e lombardo era anche conosciuta come “erba starnudela”. Per gli effetti medicinali la sua prima applicazione sembra risalga a Ildegarda di Bingen, una monaca benedettina (1098 – 1179), che la cita per la prima volta nel suo libro Physica come una pianta utile per il trattamento di contusioni ed ecchimosi.

Oggi la gran parte dell’arnica montana viene utilizzata nei formulati cosmetici in commercio e inoltre la si usa spesso in molti ambiti medici: in Traumatologia per le contusioni, slogature, traumi, ematomi, edemi e infiammazioni post-traumatiche; in Reumatologia per dolori articolari, dolori muscolari, artrosi, artrite, tendiniti; in Flebologia per disturbi venosi e flebiti, insufficienza venosa e varici e in Dermatologia per il trattamento di punture di insetti, foruncoli, dermatosi infiammatorie.

Oggi questa splendida pianta è fortemente a rischio. In molti paesi europei la presenza della pianta è in fase calante o, addirittura, quasi estinta. Ma perché l’arnica montana è a rischio estinzione? Perché la gran parte dell’Arnica montana, usata e presente nei prodotti in commercio (si stima un fabbisogno annuo intorno alle 50-80 tonnellate), proviene da raccolta spontanea, a cui si somma la scomparsa del suo habitat naturale per l’abbandono dei pascoli ai rovi, e le concimazioni azotate dei prati. Per questo motivo l’Unione Europea ha inserito l’Arnica montana nell’elenco delle specie per cui si raccomanda agli Stati membri di prevedere delle misure per limitare la raccolta selvatica e favorire la conservazione della specie.

In questo contesto assume ancora più rilievo l’esperienza degli “agricoltori pionieri”, così si definiscono, di ARMO1191 che dopo avere rilevato la storica azienda familiare (Antonio Conzato negli anni Cinquanta partì da Breganze, in provincia di Vicenza: vi arrivò con moglie e 11 figli, bestiame e operai), innovano, inventano, ritornano in qualche modo alla tradizionale coltivazione dell’arnica montana in una concezione moderna, tutta volta alla sostenibilità ambientale, anche perché per ottenerle si lavora con le mani, il rastrello e la zappa. Siamo in Castaldia, lungo il sentiero della “Passeggiata delle Malghe” sotto l’altopiano di Piancavallo di Pordenone dove, quando il cielo è terso, si vede l’Adriatico e da dove iniziano i boschi di faggio. Nessuno prima di loro aveva coltivato questi suoli calcarei, dove da sempre si praticava l’alpeggio o il taglio dei boschi.

L’obiettivo, l’idea, è la voglia di preservare gli habitat montani naturali e allo stesso tempo produrre una materia prima di alta qualità da cui ricavare prodotti dalla filiera controllata. La coltivazione è importante perché permette l’uso della pianta nelle produzioni da mettere in commercio, ma senza “strapparla” ai terreni e diventa, quindi, una scelta a favore dell’ambiente naturale, andando contro la minacciosa estinzione della specie. Questa è la filosofia dietro queste produzioni “industriali”.

Le prime, innovative, sperimentali aiuole sono del 2011 e oggi dopo 11 anni la produzione si basa su 180.000 piante distribuite su un ettaro e mezzo di terreno. L’arnica ha un ciclo poliennale e quindi dopo 4-5 anni vanno sostituite. Il ciclo naturale vede d’inverno le piante che dimorano sotto la neve con il terreno che assorbe l’umidità necessaria per i mesi successivi. Invece la semina avviene tra la fine di febbraio e marzo, per poi essere trapiantate a mano tra maggio e giugno. La pianta nel primo anno mette le radici e sviluppa le foglie preparandosi così alla fioritura, che avviene al secondo anno tra giugno e luglio, per raggiungere spesso la massima produzione al terzo anno. I fiori vengono raccolti a mano nel “tempo balsamico ottimale” e vengono poi essiccati naturalmente. Importante sapere è che la cura e la pulizia dalle malerbe si fa tutta a mano e con il telo pacciamante, evitando quindi prodotti che possano alterare l’equilibrio dell’ecosistema (certificazione biologica ICEA come operatore IT BIO 006 E3139).

Pionieri solitari? Da oltre 30 anni si parla di tecniche possibili e attuabili di coltivazione dell’arnica montana, ma in pratica non si fa e non si diffonde. Perché? Probabilmente la ragione sta nel rischio e nel costo: la germinabilità del seme è bassa, la mortalità alta, la produttività non stabile e questo incide inevitabilmente, insieme al necessario lavoro manuale e artigianale, alla redditività finale. Infatti la coltivazione dell’arnica montana si contano sulle dita di una mano e addirittura la coltivazione di ARMO1191, è secondo alcuni esperti, la più grande conosciuta in Europa.

Ma chi c’è dietro questo pensiero? ARMO1191 significa Antonio Conzato, nipote del fondatore della società, a cui va il merito di avere introdotto la coltivazione dell’Arnica montana, che da ricercatore di Storia a Padova ha scelto di abbandonare e innovare l’azienda di famiglia. Ad Antonio si sono aggiunti poi il cognato Andrea Muner (ex cestista professionista) e la moglie Francesca Muner (curatrice per anni delle attività culturali di una banca). Ed è bello immaginare a cosa pensino, soprattutto d’estate allorché il lavoro sull’arnica è più intenso, quando dalla sede principale sita nella valle a Roveredo, salgono in quota verso le gialle coltivazioni di arnica montana.

I prodotti si possono acquistare anche on-line attraverso la pagina Shop Online del sito della società https://www.armo1191.it

 


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