I pomodori che rompono le catene dello sfruttamento

Siamo in provincia di Foggia e l'associazione Casa Sankara porta avanti “Riaccolto”, un progetto che in cinque anni ha permesso di inserire in un circuito di diritti e legalità centinaia di lavoratori strappandoli al caporalato


  • 03.03.2023

SAN SEVERO (Foggia). L’integrazione si fa con i pomodori. Per ora pelati, presto anche polpa e salsa. I frutti rossi della terra per rompere le catene dello sfruttamento, proprio in una terra dove lo sfruttamento troppo spesso è diventato un sistema. A San Severo, provincia di Foggia, l’associazione Casa Sankara porta avanti “Riaccolto”, un progetto che in cinque anni ha permesso di inserire in un circuito di diritti e legalità centinaia di lavoratori strappandoli al caporalato.

A pochi chilometri dai campi dove si coltivano i pomodori di “Riaccolto” sorgeva il cosiddetto Gran Ghetto di Rignano: un gigantesco accampamento fatto di lamiere e baracche che era arrivato ad ospitare quasi tremila lavoratori stagionali stranieri. Fino allo sgombero del 2017, che tuttavia non ha completamente risolto il problema, dal momento che nuovi agglomerati informali sono sorti nelle vicinanze. Perché riuscire a debellare quel sistema è difficile e spesso nemmeno conviene a chi dallo sfruttamento dei lavoratori stagionali - per lo più provenienti dai Paesi africani - trae il proprio vantaggio.

«Bisogna considerare che un raccoglitore senza permesso di soggiorno e senza diritti - spiega Mbaye Ndiaye, fondatore e segretario generale di Ghetto Out-Casa Sankara - prende pochi euro per ogni cassone di pomodori raccolti. Ma di questi soldi la maggior parte deve pagarla a chi gestisce le baraccopoli (i caporali, nda) per poter usufruire di servizi che sono inesistenti. Vengono sfruttati e anche derubati». Un circuito diabolico in funzione da sempre in un’area tra le più importanti in Italia per la produzione di pomodori.

Ed è per interromperlo che l’associazione guidata da Mbaye Ndiaye e da Papa Latyr Faye, entrambi di origine senegalese, è nata nel 2012 e si è definitivamente costituita quattro anni più tardi. «Il nostro percorso è iniziato a fianco di “Io ci sto” di padre Arcangelo Maira tra i lavoratori del ghetto - prosegue Mbaye - e questo ci ha portato piano piano a coinvolgere le istituzioni locali. Grazie all’interessamento che c’è stato la nostra realtà è riuscita a crescere: primi tra tutti il prefetto Luisa Latella e il funzionario regionale Stefano Fumarolo (a cui è intitolata Casa Sankara, nda). In ogni occasione noi abbiamo ribadito che ciò di cui avevano bisogno i lavoratori del ghetto non erano cibo e vestiti, ma un tetto sicuro e un permesso di soggiorno. Solo dando loro una sistemazione degna e la possibilità di lavorare vedendo rispettati i loro diritti si sarebbe riusciti a risolvere la situazione».

Richieste che hanno finalmente trovato realizzazione a partire dal 2016, quando la Regione Puglia ha affidato la gestione tramite bando dell’ex azienda agricola Il Fortore all’associazione Casa Sankara. Sedici ettari di terreno e un casolare che a partire dall’anno successivo ha iniziato ad ospitare centinaia di migranti fuoriusciti dal ghetto in via di sgombero. «Nel complesso siamo arrivati ad ospitare fino ad oltre quattrocento persone - va avanti - che grazie al nostro sportello legale si sono regolarizzate e hanno potuto iniziare a lavorare nei nostri campi. Inizialmente producevamo verdure su un appezzamento di 3-4 ettari per il fabbisogno di tutti gli ospiti, che nel frattempo continuavano a crescere».

Tuttavia è dal 2020 che il progetto “Riaccolto” prende definitivamente forma e la produzione sulle terre di Casa Sankara aumenta. «In questo anno siamo partiti con la coltivazione dei pomodori - racconta Mbaye - su ben tredici ettari di terreno. Abbiamo stretto accordi con alcune realtà di trasformazione: Coop Le Due Palme e Conserve Italia. Inoltre, siamo riusciti ad inserirci nel circuito della grande distribuzione grazie a LegaCoop Puglia, che fin da subito ha iniziato a distribuire i nostri prodotti: 120mila barattoli di pelati nel 2021, 150mila barattoli sempre di pelati nel 2022 e da quest’anno dovrebbero sbarcare sugli scaffali anche i barattoli di polpa e di salsa».

Un vero e proprio sogno diventato realtà, la realizzazione di quella frase che è stata riprodotta all’ingresso di Casa Sankara proprio sotto al ritratto del presidente rivoluzionario del Burkina Faso Thomas Sankara: “Lo schiavo che non prende la decisione di lottare per liberarsi merita completamente le sue catene”.

«Ecco, noi fin dall’inizio abbiamo deciso di lottare contro le nostre catene, anche se è stato estremamente difficile in un luogo dove moltissimi hanno interesse affinché lo sfruttamento dei lavoratori migranti continui. Ogni anno da noi hanno la possibilità di lavorare decine di raccoglitori con un regolare contratto e con una paga giusta. Questo significa molto perché è la dimostrazione che un altro sistema è possibile e che già esiste».

Anche se la strada da fare è ancora tanta, come sottolinea lo stesso segretario dell’associazione Casa Sankara. «Vogliamo che gli immigrati si sentano finalmente delle risorse, che si sentano parte del territorio nel quale vivono e che smettano di aver bisogno di aiuto. La Costituzione italiana in questo senso è il vero modello a cui rifarsi: lì dentro c’è scritto tutto ciò che serve per far sì che le persone, tutte le persone che vivono in questo Paese, si realizzino».

Per approfondire le attività svolte da Casa Sankara e conoscere i dettagli del progetto “Riaccolto” è possibile visitare il portale www.casasankara.it.


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